Il valore aggiunto dell’I.I.S. Galilei di Jesi consiste nell’apertura al territorio; anzi, se ne potrebbe definire uno dei tratti distintivi. Lo avranno constatato al Palazzo dei Convegni il 1° febbraio i presenti al primo appuntamento della rassegna “Malati di niente”, che in collaborazione con il progetto d’istituto “Frammenti dal Novecento”, dedicato al tema delle “Risonanze”, ha presentato un seminario di aggiornamento per docenti a cura della storica Annacarla Valeriano. Il titolo dell’incontro deriva da quello dell’ultimo libro della studiosa, “Contro tutti i muri. La vita e il pensiero di Franca Ongaro Basaglia”, attivista e politica veneziana secondo la quale il “vero manicomio” risiede nelle nostre barriere mentali. Marzia Pennisi, curatrice per la COOSS Marche della rassegna “Malati di niente”, intervistando la Valeriano ha affermato che il problema della salute mentale tocca tutti noi e che i PCTO avvicinano gli studenti a questo concetto. La Ongaro dimostrò il suo spessore intellettuale nei libri scritti talora a quattro mani con il marito, lo psichiatra Franco Basaglia, con cui lavorò alla legge 180 che nel 1978 chiuse in Italia l’esperienza dei manicomi. Preceduta da una legge di pubblica sicurezza del 1904, la legge Basaglia non era perfetta, dati i suoi numerosi limiti, ma giunse al momento opportuno ed ebbe un iter travagliatissimo: furono dodici in totale i tentativi della Destra e della Sinistra di affondarla per tornare al passato. In tutti i suoi lavori la Ongaro, che prima del matrimonio era solo un’amante della letteratura, analizzò la condizione femminile, con attenzione particolare a casi di violenza contro le donne. Fece così comprendere le dinamiche di potere nei manicomi. Percepì i limiti dell’essere donna in una società con un potere ancora prettamente maschile che agiva su corpi e menti. Entrata come volontaria in corsia nel 1961, capì che il mondo delle malattie mentali era diverso per gli uomini, su cui non pesava il retaggio di pregiudizi culturali ottocenteschi che condannavano al manicomio le donne troppo esuberanti sessualmente o non votate alla maternità. Insegnò che per comprendere le malattie mentali bisognava studiare le cartelle cliniche dal punto di vista del contesto sociale, indagare, tramite il dialogo con i pazienti, sui motivi che portavano certe vite ad “incepparsi”. La Ongaro è stata la prima a tradurre le opere di Erving Goffman dedicate alle istituzioni totali – come appunto manicomi, carceri, campi di concentramento, abbazie, monasteri -, messe tutte sullo stesso piano in quanto volte all’alienazione dell’individuo. Fece notare che la cultura scientifica era sempre stata largamente maschile, con la diversità uomo-donna vista come un disvalore, invece che come un arricchimento. Le malattie mentali femminili erano abitualmente riconnesse agli organi riproduttivi, per esempio in menopausa. Sostenne che la cultura dell’esclusione della donna dai consessi più importanti l’aveva fatta diventare passiva e remissiva come reazione protettiva verso una società soffocante, dove le insubordinate che volevano esprimere la loro personalità andavano punite con botte, violenze, femminicidi. Un concetto chiave del pensiero della coppia Basaglia, ritenuto “terapeutico”, è quello di libertà, un bene che deriva dal contatto con il mondo. Quando negli anni Sessanta venne smantellato l’ospedale psichiatrico di Gorizia e vi furono ammessi assistenti sociali e arredi comuni, la coppia constatò che i pazienti non ricordavano più i contatti con il mondo e che quindi era necessario istituire comunità terapeutiche aperte verso una società disposta ad accoglierli, che concedesse libertà di espressione. La Ongaro decostruì le parole attribuendo loro un nuovo significato. Fu così che non considerò più la malattia un disvalore, ma l’altro lato della salute, riacquistabile in un nuovo equilibrio grazie ad un ambiente adeguato, sulla base del principio che in tutti gli esseri umani vi è l’istinto di sopravvivenza. La malattia mentale, pertanto, deve convivere con la salute perché è parte del mondo. Ghettizzare gli ultimi, i diversi vuol dire escludere una parte di noi, che un giorno potremmo trovarci nella stessa condizione di emarginazione. Sono molti, dunque, i pregiudizi da smantellare.
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