Il 10 maggio la classe III A les dell’I.I.S. Galilei di Jesi, accompagnata dalla prof.ssa Monica Ferretti si è recata all’Hotel Federico II per partecipare alla seconda giornata del “Festival Stupor Mundi”, ideato e diretto dal Dott. William Graziosi in memoria dell’Ing. Gennaro Pieralisi, sensibile mecenate dalla cui volontà sorse nel 2017 il museo multimediale dedicato al grande Svevo. “Condividere i saperi tra Oriente e Occidente” è stato il tema della giornata, che ha visto come moderatore per la sessione mattutina il Prof. Agostino Paravicini Bagliani, Presidente della Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino. Il primo relatore, Fulvio Delle Donne, Professore ordinario di Letteratura latina medievale e umanistica presso l’Università degli Studi della Basilicata, nonché Direttore scientifico del Festival, ha svolto una relazione su “Federico II e i saperi scomodi”. “Siamo soliti pensare a Federico II con un’immagine oleografica nata in età romantica, quella di un apportatore di grandi conoscenze per aver introdotto la filosofia araba e innovazioni nel settore della matematica, delle scienze, della medicina e della letteratura. Non sempre però – ha osservato – l’innovazione e la sua sete di conoscenza vennero dai contemporanei assimilate alla positività.” Ha poi spiegato come Dante (Inf., X, 119) sia arrivato a presentare il Puer Apuliae come un epicureo, compagno di pena di Farinata degli Uberti e del Cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Il Sommo Poeta era un collettore di notizie ed essendo vissuto almeno mezzo secolo dopo, non poteva avere avuto informazioni di prima mano su Federico II. Nella Chronica Majora del monaco benedettino inglese Matteo Paris (1200 – 1259) il grande Svevo venne definito Stupor Mundi et immutator mirabilis, ossia meraviglioso modificatore. Questa seconda definizione era stata usata dallo stesso cronista per il papa Innocenzo III, e non ha una valenza prettamente positiva, in quanto l’ordine del mondo derivava dalla volontà divina e un suo sovvertimento si presentava come una blasfema ribellione. Anche la sete di conoscenza del Puer Apuliae dovette talora sembrare spropositata. Il libello Iuxta vaticinium Ysaie di Raniero Capocci da Viterbo calca la mano, definendo l’Imperatore “principe della tirannide, eversore del dogma e del culto ecclesiastico, sovvertitore della fede, maestro di crudeltà, modificatore del secolo, dissipatore del mondo […] si volse a scalare, come Lucifero, il cielo della Chiesa”. Il frate umbro Niccolò da Calvi, poi, nella sua Vita Innocentii IV adopera per Federico II il termine “tiranno”, ricordando che fece radere al suolo la chiesa principale di Amelia edificandovi sopra un suo castello, mentre in “…Puglia, nella masseria di Salisburgo, fece distruggere un altare consacrato a Dio e al suo posto fece costruire delle latrine. In molte terre del Regno, lì dove erano chiese dedicate a Dio, fece costruire bordelli per le sue sgualdrinelle”. Il passaggio da Anticristo ad epicureo si registra nell’anonima Vita Gregorii IX, dove si afferma che tutte le bestemmie e le offese a Dio, Federico II le aveva apprese dalla frequentazione delle opere filosofiche pagane, greche ed arabe, per cui tutto veniva determinato dall’influsso delle stelle e non da Dio. Inoltre l’imperatore morente è rappresentato come un essere mostruoso che schiuma e digrigna i denti, analogamente a quanto si nota nel Liber figurarum di Gioacchino da Fiore, dove la settima testa del drago apocalittico raffigurerebbe, accanto a sovrani persecutori della religione, da Erode a Saladino, lo stesso Federico. Ad additare come epicureo l’imperatore furono pure due commentatori della Divina Commedia, Boccaccio e Benvenuto da Imola, nonché lo storico Giovanni Villani e il frate gioachimita Salimbene de Adam. Su questo giudizio pesò certamente la pace stretta a Giaffa nel 1229 con il sultano Malik al-Kamil. “Noi uomini della modernità incontriamo difficoltà nel comprendere quanto non era positivo e moderno per i contemporanei di Federico II. Ne deriva la necessità di contestualizzare sempre in modo preciso.” – ha concluso. Il secondo relatore, Giuseppe Mandalà, dell’Università di Milano, ha analizzato “I quesiti di Federico”, che, per dirla con le parole di Salimbene de Adam, fu “vir inquisitor et sapientiae amator”, ossia connotato dalla prerogativa di “inquirere”, cioè di fare domande. Nel 1221 – 22 il Grande Svevo aveva inviato in Egitto a Malik al-Kamil cinque questioni perché gliene venisse data la risposta, che in realtà l’imperatore conosceva già, grazie alla circolazione di opere aristoteliche, di cui aveva patrocinato la traduzione. Le domande riguardavano la teologia, l’eternità del mondo, la natura dell’anima, nonché l’interpretazione del detto di Maometto “il cuore del credente è tra le dita del misericordioso”. Il mistico e filosofo arabo Ibn Sab ‘īn rispose alle questioni siciliane e l’imperatore, soddisfatto, gli inviò un dono prezioso, che egli rifiutò. Nicoletta Rozza, dell’Università di Napoli Federico II, ha trattato successivamente “La geometria alla corte di Federico”. Il matematico pisano Fibonacci, di cui è la più grande studiosa, ad un certo punto della sua vita, grazie all’invito di un famoso maestro di nome Domenico, entrò in contatto con i membri della corte federiciana. In questo incontro si svolse una “disputa” – prassi medievale di discussione – tra Fibonacci e Giovanni da Palermo. I quesiti posti al primo studioso dal secondo si collocano in una tradizione culturale che noi conosciamo ed erano risolvibili anche per via geometrica, in quanto l’algebra, disciplina araba, non era ancora conosciuta bene. Il metodo usato da Fibonacci per rispondervi non rientra nella tradizione del tempo, in quanto egli parte da conoscenze meno avanzate, rinuncia alle scoperte più recenti provenienti dal mondo arabo, e gli storici non riescono a comprenderne il perché, se è vero quanto egli dichiara, ossia di aver viaggiato e appreso molto da questo. La mattinata si è conclusa con Stefano Rapisarda, dell’Università di Catania, che con il suo intervento su “Astrologia e letteratura” ha sottolineato l’enorme importanza dello studio degli astri nel Medioevo, dato il modello geocentrico del cosmo e l’obbligo, per chi esercitava il governo, di prevedere quanto stava per succedere, come indicato nel Secretum secretorum, trattato di uno Pseudo-Aristotele medievale scritto sotto forma di lettera ad Alessandro Magno. La sessione di studi è stata allietata dalle “giullarate” di Gianluca Foresi, che ha improvvisato rime coinvolgendo scherzosamente il pubblico.
0