Per l’8 marzo le classi quarte dell’indirizzo biotecnologico dell’I.I.S. Galilei di Jesi hanno allestito in Aula Magna la mostra “Le donne di Michela Murgia”, in omaggio alla scrittrice e attivista (1972-2023) che si è sempre impegnata per i diritti negati alle “Morgane” di tutti i tempi. Gli studenti, guidati dalla prof.ssa Fabrizia Fiorentini, hanno effettuato ricerche in ambito biblico, scientifico, storico, artistico e letterario, traendone ritratti di donne coraggiose, intelligenti ed altruiste. Ha contribuito alle riflessioni sulla condizione femminile la giornalista, scrittrice e poetessa Asmae Dachan, che ha tenuto una lezione di geopolitica con la sua drammatica testimonianza sulla situazione della Siria, uscita l’8 dicembre scorso da 54 anni di dittatura e 14 di guerra. La giornalista aveva già visitato la terra d’origine dei suoi genitori viaggiando in incognito nel 2013 e nel 2014, sempre al seguito di civili minacciati da barrell bombs, le bombe a barile d’invenzione siriana. Solo un siriano su tre vive oggi nella propria casa. Il Paese, bellissimo per la ricchezza di beni archeologici ed architettonici ora distrutti, è un mosaico di popoli e religioni diverse. Vi domina un 80% di musulmani, ma sono presenti anche drusi, cristiani, armeni, curdi, circassi, turcomanni e assiri. La Dachan ha avuto il coraggio di tornare in quei territori martoriati a soli diciannove giorni dalla fine della dittatura di Bashar al-Asad, consapevole che in quel periodo si stava riscrivendo la storia. Agghiaccianti i video girati dalla Dachan nella prigione militare di Sednaya, 30 km a Nord di Damasco, definita da Amnesty International una “macelleria umana”. Più di trentamila persone sono morte dopo grandi sofferenze, torture e privazioni in questo vero e proprio campo di sterminio. A Sednaya si era rinchiusi anche per un post su Facebook, una dichiarazione, o per la parentela con soldati dissidenti che si erano rifiutati di sparare sulla folla. Dell’inferno buio di Sednaya hanno fatto parte anche bambini, frutto dei sistematici stupri sulle detenute, creature allevate senza poter vedere nemmeno un fiore o un albero. Sono 250.000 i siriani scomparsi negli ultimi 14 anni. La giornalista, ancora scossa dalla sua esperienza, ha raccontato di aver perso molti amici, familiari e colleghi con cui collaborava e con cui, all’improvviso, si sono interrotte le comunicazioni. Al momento in Siria vige un governo provvisorio di cui fa parte un’unica donna, che ha un ruolo chiave, in quanto alla guida della Banca centrale siriana. A conclusione dell’incontro, la Dachan ha indicato due siriane che potrebbero a buon diritto integrare i pannelli della mostra dedicata a Michela Murgia. Sono Amani Ballour e Wafa Mustafa. La prima, da sempre in lotta contro un imperante maschilismo, pediatra, avvocato in difesa dei diritti di donne e bambini, è stata la prima e unica donna a dirigere un ospedale in Siria, allestito sotto terra e noto come “the Cave”, la caverna, appunto. Wafa Mustafa, invece, una giornalista e instancabile attivista impegnata nel rilascio di detenuti siriani, premiata in Italia per il suo coraggio, non si è ancora arresa nella ricerca del padre Alì, scomparso nel 2013. Lo dimostrano anche recenti post di Instagram con gli screenshot inviati al genitore, nella speranza che li legga non si sa quando. Il cammino della Siria verso una democrazia si prefigura arduo e nessuno si fa illusioni. Vi sono però segnali di speranza, perché è potente il desiderio di ritornare a vivere nella normalità in un territorio lacerato da così profonde ferite.
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